mercoledì 29 dicembre 2010

LU JOCU DI LI STACIUNI di Angelo Rullini

TRAVAGGHIAVUMU A SINCAT


TRAVAGGHIAVUMU ‘A SINCHITI
Cronaca semiseria dal 1968 agli anni ‘90 di Armando Carruba
Siracusa 28 settembre 2001

UNO SGUARDO AL PASSATO PER PROIETTARSI NEL FUTURO
Il ricordare è, forse, la più intrinseca facoltà dell’uomo poiché nell’inserire la marcia indietro del pensiero, è il cuore che affianca la mente; ed è per questo motivo che ho colto al volo quel
pulviscolo di memorie del tempo andato.
Negli anni cinquanta a Siracusa il piazzale Marconi, meglio conosciuto come puzzu ‘ngigneri, antica piazza d’armi, che per la sua vastità era adibita anche a fiera del bestiame, ove esisteva
un abbeveratoio progettato dall’ing. Ignazio Del Pozzo e costruito nel 1721 dal capomastro Giuseppe Branciforte, la mattina all’alba si riempiva di lavoratori della terra che aspettavano un cenno del padrone per guadagnarsi onestamente la giornata.
E fu negli anni cinquanta che quella piazza cominciò a svuotarsi, era nata l’industria che chiedeva braccia e questi lavoratori accettarono di buon grado un lavoro che permetteva loro un reddito sicuro mensile.
Quasi nessuno possedeva l’automobile, i più fortunati la motocicletta, i più la bicicletta; allo stabilimento di Priolo andavano con i pullman della ditta Golino, che facevano capolinea alla Marina e percorrevano tutto il corso Umberto I°, prendendo gli operai alle fermate, quella dei Villini (Foro Siracusano) contava il maggior numero di persone.
Pullman affollatissimi, chiamati “cca funcia” perché del tipo di quelli che si vedono in certi film bianco e nero degli anni quaranta; a volte facevano sciopero o si guastavano ed erano cavoli amari, in seguito anche l’AST effettuò questo servizio.
La ditta Golino ha smesso da tempo e l’AST ha cancellato la linea, a lavorare oggi si va in automobile o con pullman di cooperative; noi ragazzini commiseravamo quei lavoratori che avevano accettato un posto di lavoro dove la puzza era sovrana, anche se il detto “chi disprezza compra” in questo caso si confermò più che mai veritiero, in quanto la maggioranza di noi finì con il lavorare in fabbrica che ha dato tanto all’economia del territorio; anche se da troppo tempo, non si fa altro che parlare di rami secchi, tagli del personale, autunni caldi e via di questo passo.
La vita in fabbrica è stata sempre scandita, da modi di dire, da comportamenti, da momenti che…una domanda che mi viene rivolta spesso da chi è già in pensione è: - ma ssì ancora ddà?
(ma sei ancora in fabbrica?).
Ho firmato la mia uscita per fine settembre 2001, adesso quando incontro i citati personaggi alla domanda – ssì ancora dda’ – rispondo – ancora per poco a settembre vado in pensione! – volete sapere la maggior parte cosa mi risponde? – ah sì? Appoi t’annoi!
Questo per sottolineare, qualora ce ne fosse bisogno, come tutti i lavoratori sono legati a questa realtà industriale, lo conferma il fatto che a distanza d’anni dalla loro uscita non perdono occasione per parlare del tempo andato.
L’occasione la colgo anch’io per salutare tutti, sono soddisfatto dei rapporti umani intercorsi in questi 33 anni, mi scuso con coloro i quali ho avuto… scambi d’idee, non ricordo motivi seri ma solo stupidaggini, il mio augurio che tutti indistintamente possono andare in pensione felici come me.
Personalmente l’inizio dell’industrializzazione nel siracusano l’ho immaginata così…


E FU COSI’
Un bel giorno, uno di quei giorni segnati dall’oroscopo del giorno dove si dice che tutto andrà male ed invece ti va tutto a gonfie vele, Angelo Moratti, bonarma, conosciuto per aver realizzato la grande Inter stile anni sessanta che vinceva dintra e fora Italia uno di tutto, si susiu di bona matina, erano le undici meno un quarto e ‘na gazzosa, e consultandosi tra sé e sé nel profondo della propria mente, si sparò questo dialogo solitario:

Allura, Angileddu beddu, darò il là per la realizzazione di una grande industria!

Scusa, Moratti col filtro, disse a se medesimo, parramu ‘a lingua italiana, dove e unni darai questo là, e si complimentò con se stesso medesimo per la domanda troppo intelligente.

Come dove? là dove finisce lo stivale chiamato Italia, là dove c’è il sole, il cielo e il mare, laddove le lumache si chiamano vavaluci e le mangiano, e gli abitanti medesimi terroni!

Minchiocchiti Angileddu, in Sicilia?

Bravo mi complimento, bravo! In Sicilia, e siccome dda’ la manodopera poco custa, questa industria la realizzerò nella baia d’Augusta! – e dalla gioia si battè le mani da lui stesso medesimo.

E fu così che il petroliere Angelo Moratti nel 1949 fu di parola, andò in Texas nta pizzaru americano, ci stutò na para di cambiali post datati ad interesse zero agghiacciato, e portò nella baia d’Augusta ‘na para d’impianti di terza manu, ca l’americani, detto tra noi, avevano ‘a ghittari, realizzando la Rasiom!
Ora si sapi ca un cristiano nun po’ fari nenti di nenti ca subito a morti subitanea ci sono gli invidiosi.
E siccome si dice che se l’invidia fosse febbre tutto il mondo ce l’avrebbe, da noi diciamo… fussi vaddira fussimu tutti vaddarusi, anche altri industriali o presunti tali, capitalisti, pagnottisti, cu si visti visti, visto che le cose ad Angileddu beddu andavano a gonfie vele, pensarono anch’essi di fare una calata in Sicilia, in questa bella terra di sole, di mare, di cielo, in questa terra di vavaluci e crastuna, e fu così che tutto d’un colpo apocalittico, torri di ferro sostituirono campagne d’aranci e mandarini, e lingue di fuoco illuminarono il cielo sinora anonimo di Priolo piccola frazione di Siracusa.
L’industrializzazione nell’area siracusana era decollata, i braccianti agricoli divennero operatori d’impianto, di conseguenza lasciarono le loro zappe e impugnarono strangolini per aprire e chiudere valvole, gli abitanti di Priolo cominciarono a trasformare le loro quattro casupole in pensioni familiari per lavoratori provenienti da tutti le parti dell’isola e dal nord Italia, e finalmente ma soprattutto puntualmente arrivava per loro ogni quindici giorni una busta paga sicura, e tutti a quell’epoca erano felici e contenti…e a me non resta altro che continuare a raccontare gli avvenimenti.

LA CLASSE OPERAIA VA…
In Sinchiti, deformazione dialettale di SINCAT Società Industriale Catanese, società per azioni, sede legale Palermo, capitale sociale £ 60.000.000.000 interamente versato anno 1968, si veniva assunti tramite un semplice colloquio.
Il candidato inviava domanda di assunzione all’Ufficio del Personale e, anche se adesso può sembrare una favola a lieto fine, celermente lo stesso veniva invitato a presentarsi in Stabilimento.
L’incontro consisteva in una spassionata conversazione, per essere assunti in qualità d’operaio, il candidato non doveva essere in possesso di alcun diploma (i diplomati per legge venivano assunti in qualità d’impiegati) e una domanda usuale consisteva nel chiedere all’aspirante dipendente, perché desiderava lavorare in fabbrica, seguiva una prova matematica consistente in una divisione con la virgola, e giusto o errato fosse il risultato, il tutto si concludeva con una stretta di mano ed un augurio di reciproca collaborazione.
In seguito furono privilegiate le assunzioni di giocatori di calcio che ravvivarono con la loro presenza i vari tornei aziendali che si svolsero in quel periodo, seguiti da numeroso pubblico in tribuna.
C’era soltanto un piccolo scoglio da superare, consistente in informazioni a carattere personale che l’Azienda si riservava di prendere prima dell’assunzione; non erano altresì graditi cattivi soggetti o lavoratori con spiccate idee di sinistra, in parole povere, di operai comunisti manco a parlarne.
Queste informazioni venivano prese, ironia della sorte, presso la Parrocchia d’appartenenza del candidato e, vuliti ca Patri Parroco facesse perdere l’occasione di un posto di lavoro a patri di famigghia, che se non frequentavano la casa di Dio, e di idee di sinistra, si trattava pur sempre di gente onesta e pura come l’acqua sorgiva?
Quindi, senza tema di smentita, si può affermare che con la benedizione di Patri Parroco, la “Classe Operaia” prima d’entrare in Paradiso, trasiu ‘a travagghiari ‘a Sinchiti di Priolo.

UNNI TRAVAGGHI?
Dopo le assunzioni a morti subitanea, cioè a dire appena messo il piede in fabbrica abbiati in reparto senza una teorica preparazione, l’Azienda preparò una serie di corsi della durata di sei mesi per operatori d’impianto.
Durante quel periodo, anni 1967/68, la paga giornaliera per il corsista era di £ 800 più il buono pasto mensa; finito il corso si veniva assunti in qualità di manuali specializzati e, per legge, dopo sei mesi, passati alla categoria di operai qualificati.
Nel 1967 al CIAPI di contrada Biggemi, fu dato il via al primo corso di congegnatore meccanico, seguiti da altri; in sintesi ‘u travagghiu mancava solo a colui il quale lavoro non
ne mangiava.
Il sindacato con il maggior numero d’iscritti era la CGIL, per la ragione che era pressoché impensabile iscriversi alla CISL, in quanto la nota vicinanza di questo sindacato alla Democrazia Cristiana, partito politico che governava il paese, e che veniva aspramente criticato e detestato dai lavoratori; e più lo si detestava e più lo si votava difatti sempri acchianava!
Non si è mai capito, visto e considerato che tutti si lamentavano della DC, come potesse raccogliere tutti quei consensi.
I detrattori dicevano che a votare Democrazia Cristiana erano i soliti preti, le solite monache e ‘i fimmineddi ‘i chiesa, ma questa versione nun s’ha calava nuddu mancu ccu nu bicchiere d’acqua.
La UIL era vista come un sindacato che nun era né carni e mancu pisci, difatti i detrattori ne parlavano come un sindacato di serie B, vicino alla Democrazia Cristiana quanto al partito Socialista.
A questo occorre tenere ben presente, che durante gli anni sessanta il fare sindacato non era tutto rose e fiori, ma più delle volte cavolacci amari; quindi se è giusto dare a Cesare quel che di Cesare è, altrettanto sacrosanto è ricordare i grandi meriti che hanno avuto i sindacalisti di UIL, CISL e CGIL che operarono in quegl’anni di transizione per l’abbattimento delle gabbie salariali, pagando a volte sulla propria pelle l’attaccamento alle proprie idee.
Anni in cui era fantascienza trovare qualcuno che dichiarasse candidamente di votare DC, e quando a volte le argomentazioni dei simpatizzanti CGIL non erano condivise, si veniva investiti da quella famosa battuta durata per anni “qualunquista e fascista” che doveva così chiudere il discorso; difatti i compagni non avrebbero mai dialogato politicamente con un simpatizzante MSI, forse con un qualunquista sì, anche se a loro dire, erano sempre pronti a contestare per il piacere di farlo, ma potevano forse un giorno ricredersi.
In fabbrica si lavorava a ritmo sostenuto, in alcuni posti di lavoro giornaliero, i giovani il venerdì all’approssimarsi della fine orario di lavoro, cercavano di defilarsi per non essere notati e di conseguenza chiamati per lo straordinario del sabato.
Un’altra battuta famosa che ha resistito per tanto tempo e che puntualmente veniva sparata quando un dipendente Sincat incontrava qualcuno fuori stabilimento e quest’ultimo chiedeva: unni travagghi? (dove lavori?), risposta piena d’orgoglio – ‘a Sinchiti! (in Sincat!) meraviglia dell’interlocutore e successiva domanda – ma nun cc’è fetu? (ma non c’è puzza?) risposta buttata con indifferenza - Anticchia, ma dda’ intra mancu si senti (un po’ ma lì dentro non si avverte), ultima curiosità – e cchi fai? (che lavoro svolgi?) risposta micidiale e trionfante –nenti! (niente).
E stando alle affermazioni dei lavoratori di quegl’anni, la Sincat ovverosia Società Industriale Catanese, andò avanti senza che nessuno facesse…niente!

LA SICUREZZA
Oggi si da un’importanza primaria alla sicurezza del lavoratore, l’anno scorso non si è registrato alcun infortunio e questo è motivo d’orgoglio per chi lavora in questo settore, organizzando presso la Scuola Aziendale di stabilimento incontri sempre più frequenti su questo tema.
Tra le cause di un infortunio, a mio modesto parere, c’è a volte la troppa sicurezza del lavoratore nell’effettuare una manovra fatta tante e tante volte, magari senza usare i mezzi di protezione in dotazione, tanto meno la giusta accortezza di verificare che tutto sia in sicurezza.
Sottolineo questo concetto, per il fatto che in questi anni, si sono verificati troppi incidenti con protagonisti lavoratori espertissimi che per un nonnulla hanno pagato un caro prezzo e a volte purtroppo con la vita.
Negli anni sessanta, a volte, l’aspetto sicurezza lasciava il tempo che trovava; per fare un esempio basta ricordare i meccanici pompisti che dovevano intervenire allo smontaggio di una pompa in reparto; di regola dovevano aspettare l’elettricista di turno che levasse i relativi fusibili per scollegare il giunto pompa e intervenire meccanicamente, ma per abbreviare i tempi e soprattutto per non passare per lavativi, intervenivano ancor prima che l’elettricista fosse informato.
Un altro esempio negativo, il cambio dei reversibili dell’olio combustibile al CR 1-2, su grossa tubazione situata ad una quindicina di metri d’altezza, con la tubazione stessa cosparsa d’olio.
Di questa operazione se ne occupava la squadra turnista meccanica dell’officina meccanica 3, di regola avrebbe dovuto esserci un ponteggio permanente data la frequenza della manovra, in realtà era un numero da circo equestre.
Desidero a questo punto ricordare un capo squadra che fu più che un fratello per la sua squadra stessa, quando capitava questo lavoro Nino Lopes, così si chiamava il nostro uomo, lo eseguiva personalmente ben sapendo della pericolosità dell’operazione.
Nino si faceva tenere per i piedi e sdraiandosi sulla tubazione cominciava a svitare i bulloni da 32 con la chiave da battere; terminato il lavoro, di fronte alla squadra ammirata per la sua abilità, se ne usciva con la battuta: “mittiti i chiavi nta cassetta e jemu all’officina a farini ‘u cafè”.
La sicurezza è importantissima, e quando si è invitati ad un corso presso la scuola aziendale, occorre andarci prestando più attenzione possibile, perché quello che può sembrare sciocco e banale più delle volte può essere vitale.

CODIFAVA
Tra i personaggi passati alla storia dell’industria priolese, sicuramente uno dei più singolari fu l’ing. Codifava! Il punto esclamativo è d’obbligo per l’estrosità del personaggio nel porsi in quegli anni in cui le barriere nell’ambito lavorativo erano altissime.
Per rendersi conto dell’assurdità di certe posizioni, basti pensare ad un vergognoso cordone in sala mensa (in seguito rimosso dopo violente proteste sindacali) che serviva a delimitare un’area riservata soltanto agli impiegati.
Oppure ai fattorini di piano, pronti ad essere chiamati al suono di un campanello per futili motivi, come il portare un foglio da una stanza all’altra, perché l’impiegato di turno non poteva staccarsi dalla sedia in quanto la stessa si sarebbe raffreddata.
Nelle officine meccaniche, l’operaio specializzato era “’u mastru” e più delle volte rendeva la vita difficile a operai qualificati e manuali specializzati nonché a lavoratori delle ditte; in sintesi in quel clima dove l’impiegato era del tipo “nun mi tuccari ca mi scozzulu” e dell’intermedio ca nun essennu né carni né pisci, unni appoggiava ‘u sapeva iddu; l’ing. Codifava vestiva con la tuta dell’operaio comune, elmetto, guanti e spesse volte lo si vedeva in prima linea ovverosia in impianto.
Gli operai lo guardavano con simpatia, sia perché lui, polentone puro cca scorcia, non guardava nessuno dall’alto in basso, e per il fatto di non pensarci due volte a redarguire qualche “nun mi tuccari ca mi scozzulu” davanti a tutti.
C’era chi giurava che fosse un azionista della società, e a questa fabbrica, l’ing. Codifava ha dedicato parte della sua vita oltre il normale orario di lavoro.
Era il re incontrastato del CR 1-2 ma riguardo ad aumenti di stipendi piuttosto tirato, anzi tiratissimo, mi correggo mancu ‘a parrai.
Famose le sue due battute “ehi pistola!” e “mago!” a secondo naturalmente le circostanze; quando lo si vedeva venire in impianto chi poteva scappottarsela lo faceva volentieri per il semplice fatto che con lui il lavoro era assicurato.
Un giorno, dopo un temporale, stava piovendo ad assuppa viddanu, cioè a dire quella pioggerellina leggera e fine ca pari ca mancu chiovi, l’ing. Codifava sempre in tuta, elmetto e guanti si portò all’altezza delle pompe dette a cavallino; un operaio, di cui taccio volutamente il nome, cogliendo secondo il suo parere un buon momento d’arruffianamento, gli si avvicinò:
‘Ngignieri, chi havi bisognu di ocche cosa? (ingegnere le occorre qualcosa?) - Come va mago? rispose il Codifava; all’operaio manco gli sembrò vero, gli brillarono gli occhi dalla gioia, si armò di tutto il coraggio civile e domestico e replicò: - ‘u sape ‘ngignieri ‘i cosi nun vanu tantu boni….Il Codifava non lo fece terminare – L’impianto pistola! Non tu, l’impianto! Prendi la pala, prendi il badile, togli le pietre scopa il reparto.
Mai quell’operaio lavorò tanto sotto quella pioggerellina che cadeva leggera, con le risatine dei compagni che nascosti dietro le colonne si godevano la scena, guardandosi bene dall’intervenire.
Un’altra volta in impianto il Codifava stava armeggiando una valvola, quando un operaio di una ditta gli domandò: - chiffa’ mi duni sti guanti? (me li regali i guanti?) – ma cosa dici pistola! replicò l’ingegniere – ca dammilli sti guanti ti dugnu i mei e tu ti fa conciari (dammeli i guanti ti do’ i miei e tu te le fai cambiare).
L’ingegnere Codifava per fortuna non capiva il nostro dialetto, e noi facemmo fatica a far comprendere a quell’operaio che aveva sbagliato persona nel chiedere il paio di guanti.
Tante storielle e tanti aneddoti sono legati a questa persona; il suo chiodo fisso era la fiaccola.
Sull’autobus che da Siracusa lo portava al lavoro, all’approssimarsi della fabbrica domandava in quale direzione era rivolta la fiamma della fiaccola, e quanto era alta; anche perché era miope e voleva assicurarsi che quello che vedeva in lontananza fosse reale.
Ne è passato del tempo, ma ogni qualvolta che casualmente mi capita di guardare la fiaccola, non posso fare a meno di pensare all’ing. Codifava un po’ mago e un po’ pistola, come diceva lui, ma certamente una simpaticissima persona.

LO SCIOPERO
Il fiume in piena della vita travolge i nostri ritmi, le nostre abitudini, tutto cambia! Quello che era ieri non è più oggi, tanto meno domani.
Negli anni sessanta l’Azienda era “il padrone” e la classe lavoratrice quella operaia, dato che gl’impiegati, tranne eccezioni che non confermano regole, non aderivano agli scioperi o se la facevano perché costretti da cause di forza maggiore.
Lo sciopero sindacale di quegli anni era veramente sciopero! in quanto dichiarato, attuato e soprattutto sentito con la più ampia partecipazione attiva dei lavoratori.
Quando nel febbraio del 1968 fui assunto, gli anziani dello stabilimento ricordavano con orgoglio a noi novellini, d’aver preso parte ad uno sciopero durato ben diciotto giorni! Anche se alla fine dovettero mitigare le pretese e prendersi giorni di ferie per non perdere il posto di lavoro.
Si scioperava per l’abbattimento delle gabbie salariali e per ottenere che la durata del periodo di malattia fosse interamente retribuito, senza che si decurtassero i primi tre giorni dalla busta paga, con la conseguenza di costringere padri di famiglia a lavorare in fabbrica anche in non perfette condizioni fisiche.
Quando veniva dichiarato lo sciopero dalle Organizzazioni Sindacali, ci si preparava spiritualmente pubblicizzando il più possibile il momento di lotta.
Gl’impianti non marciavano a minimo tecnico, se lo facevano a rischio della Società, non esistevano comandate ma soltanto la responsabilità morale dei lavoratori, che non è mai mancata, di fermare gli impianti e metterli in sicurezza.
Si facevano i turni di picchettaggio alle portinerie, s’accendevano fuochi accatastando legna, si rideva e si scherzava per ammazzare il tempo.
I crumiri, sono in effetti abitanti della Crumiria, regione della Tunisia occidentale al confine con l’Algeria.
I crumiri, circa 35.000, sono noti per aver offerto, in seguito ai continui atti di banditismo e di contrabbando d’armi, l’occasione alla Francia di imporre il protettorato sulla Tunisia, (trattato di Bardo 1881) ed in seguito a questo fatto stanno ad indicare anche quei lavoratori che contrastano la riuscita di uno sciopero, o non prendendovi parte o accettando di sostituire gli scioperanti in favore dei datori di lavoro.
I crumiri passavano la notte in stabilimento riposando su materassini gonfiabili, gli stessi non restituiti, che più delle volte si vedevano nelle zone balneari delineando la personalità del crumiro che oltre a tradire la causa della propria classe, approfittava dell’occasione per rubare materassini, coperte ed altro.
Le lotte più accese furono nel 1969/70, quando diverse auto di crumiri cronici furono ribaltate e rovinate nel piazzale antistante la portineria.
A volte si arrivò allo scontro fisico; cosicché dopo una lunga trattativa, il 1970 segna l’abbattimento delle gabbie salariali ed il riconoscimento di giuste qualifiche; ma la conquista più importante fu l’abolizione della perdita salariale per i primi tre giorni di malattia.
Anni di sofferenza morale ed economica fecero sì che di questo conquistato diritto se ne fece uso ed abuso, com’è nel costume italico, anche se in seguito alla prima cassa integrazione si ridusse notevolmente sino a scomparire questa maldestra abitudine.

SERVIZIO VIGILANZA
Le portinerie di questa fabbrica, erano e sono controllate dal servizio di vigilanza di stabilimento, che sicuramente non si limiterà a questo servizio ma avrà altri compiti.
Negli anni passati ne aveva uno ingrato, ed era quello di controllare gli operai all’uscita e nelle ore notturne.
E’ risaputo che è vietato portarsi materiale appartenente alla Società, si chiama furto e chi lo fa è un signor ladro; all’uscita degli operai c’era sistemato un marchingegno con due luci, una delle quali si accendeva tramite una leva che veniva abbassata da tutti gli operai in uscita.
Si chiamava decimatore, ed era solo per gli operai, le due luci erano di color verde e rosso; se si accendeva il verde l’operaio poteva passare, col rosso doveva sottoporsi ad una perquisizione personale fatta da un vigilante dentro un apposito sgabuzzino.
Il rosso doveva accendersi a caso, ma non era così, lo azionava a piacimento il vigilante di turno; naturalmente i cartellini degli impiegati erano sistemati in un’altra cartelliera e gli stessi non avevano l’obbligo di passare attraverso questa forca caudina che, grazie a lotte sindacali fu eliminata.
In quegli anni durante le notti, la vigilanza girava per i reparti allo scopo di pizzicare chi dormiva, e dopo il relativo rapporto, il lavoratore veniva multato di un paio d’ore di lavoro in meno nella busta paga.
Come in tutte le cose, c’erano i patri di famigghia e chi invece si accaniva probabilmente per soddisfare un personale stupido sadico piacere.
Quest’ultimi arrivarono perfino ad appostarsi dietro le colonne per sorprendere gli operatori d’impianto al minimo cedimento, ed entrare nelle officine e magazzini un’ora prima del cambio turno, quando si ci concedeva un po’ di riposo dopo una notte di lavoro.
Questa, caccia al dormiente, durò sino a quando gli operatori d’impianto, stanchi di questa situazione si organizzarono.
Una notte al mitico CR 1-2 zona calda, furono gli operatori esterni ad attendere che la vigilanza s’appostasse dietro le colonne, e quando quest’ultimi entrarono in reparto, dall’alto venne giù una pioggia di bulloni, strangolini e materiale ferroso, provocando agli sgraditi ospiti uno stato di diarrea fulminante!
Questo episodio, manco a dirlo, fece il giro dello stabilimento, e nessun vigilante era più disposto ad entrare di soppiatto nei reparti, per il motivo che ogni qualvolta qualcuno si avventurava, casualmente dal cielo piovevano bulloni, strangolino e materiale vario, non si sa come.
I reparti erano in regola per il fatto che gli estranei al reparto stesso, prima d’entrarvi, dovevano essere autorizzati dall’assistente in turno; logico che nel momento stesso veniva chiesta l’autorizzazione, tutto il personale era informato di stare ccu l’occhiu vivu comu ‘a sarda motta.
Stando così le cose, e ripetute lotte sindacali eliminarono il decimatore e il controllo del personale dormiente o presunto tale di 3° turno, sollevando gli incolpevoli addetti alla vigilanza da questi compiti che sicuramente li squalificavano nella dignità di lavoratori.

LA MENSA
Il locale mensa della Sincat si trovava presso la portineria Sud, i lavoratori consumavano il pranzo giornaliero previo l’acquisto dei relativi buoni; c’era quello del primo, del secondo, la bibita, la frutta, il pane, il tutto per una cifra che superava di poco le cento lire.
Potevano usufruire della mensa soltanto i dipendenti Sincat, e per far rispettare questa regola e affinché non fosse turbata la quiete dell’ora d’intervallo, stazionava in mensa un addetto del servizio vigilanza.
Occorre considerare che i primi dipendenti provenivano da altre realtà lavorative: campagna, magazzini di pomidoro, segherie etc. gente abituata al duro lavoro per cui l’operare in fabbrica per loro era una passeggiata, ma allo stesso tempo soffrivano per non potere spaziare al di là del proprio posto di lavoro.
Per questa ragione in mensa scherzavano tirando pezzi di pane, e alle volte il vigilante chiudeva l’occhio altre era costretto ad intervenire.
Di tanto in tanto si assisteva ad un’azione a dir poco indegna, quando un operaio di qualche ditta tentava di pranzare e l’addetto al controllo, se ci garbizzava la cosa, tutto passava liscio ed inosservato, sennò invece di bloccarlo subito, gli faceva prendere le varie portate e solo quando quest’ultimo stava per gustare la prima forchettata di pasta, gli veniva chiesto d’esibire il tesserino di riconoscimento aziendale, con la conseguenza di dover lasciare tutto sul tavolo e andarsene a bocca asciutta.
Terminato quel che definire pranzo era eufemismo, beata gioventù, prima di mettiri manu (riprendere il lavoro) s’organizzava una partita di pallone sotto lo sguardo divertito degli anziani, mentre sotto le scale della portineria sud, c’era giorno dopo giorno ccu cunzava, si fa per dire, un ipotetico tavolo di trissetti e briscola.
Oggi la mensa sud dovrebbe funzionare solo ed esclusivamente per le ditte che operano in stabilimento, ma a quanto pare non ha l’afflusso che dovrebbe avere; intorno ad essa solo vuoto, erbacce e desolazione.

LA FORESTERIA
Negli anni sessanta è stato prodotto un film che fotografava, col 65% di verità, il fenomeno industriale nel siracusano di quegli anni, si trattava della pellicola “I Fidanzati” per la regia di Ermanno Olmi, che utilizzando attori sconosciuti e forze locali, narrava di un operaio specializzato del nord catapultato nella nostra realtà con la prospettiva di un buon avanzamento di carriera e quindi un’occasione da sfruttare per la futura vita sentimentale in odor di matrimonio.
Non sto a raccontare il film, senz’altro da vedere dato che propone uno squarcio di vita vissuta che ci appartiene, di tanto in tanto la Tv nazionale ne propone la replica, ma per sottolineare l’importanza che aveva in quegli anni questo stabilimento per l’economia del territorio.
La Foresteria ha scandito nel tempo un proporsi della classe impiegatizia nei confronti di quella operaia, e la sua chiusura coincide con l’abbattimento di quelle barriere cariche d’ipocrisia.
La Foresteria era un edificio con camere affittate a prezzi convenientissimi ad impiegati dipendenti, con l’obbligo di non ricevere nessun estraneo; era anche munita di ristorante riservato soltanto agli impiegati, in seguito questo veto fu tolto e anche se la Foresteria non funzionava più da pensione, al salone ristorante potevano accedere tutti i dipendenti e ospiti autorizzati.
Oggi tra i tanti ricordi che questa struttura si porta dietro, quello riferito al film I Fidanzati è sicuramente il più singolare.
In una sequenza del film si vedono un gruppo d’impiegati uscire dalla Foresteria e salire su un pullman per recarsi al lavoro.
Durante il tragitto, il buon Rizzato, presidente all’epoca del Dopolavoro e attore per caso, dice la sciagurata battuta imposta dal copione: “Questi siciliani per risparmiare mangiano pane e limone!” Apriti cielo e sprofondati terra! Il signor Rizzato, polentone puro, per almeno una settimana non uscì il naso dalla Foresteria.

IL DOPOLAVORO
Intorno al 1960, anno più anno meno, il vulcanico Rizzato, presidente del Dopolavoro, dovendo la squadra Sincat di pallacanestro disputare a Ragusa lo spareggio per la promozione in serie A, fece il giro di alcuni Bar della borgata siracusana contattando ragazzini disposti a tifare.
Manco a dirlo, dalla via Malta, sede del Dopolavoro, partirono tre pullman pieni di tifo, ma soprattutto di gioia giovanile.
Ad ogni ragazzo fu dato un sacchetto viveri e tra risate e battute varie si raggiunse la sorridente Ragusa.
Sugli spalti quel giorno ci fu un tifo infernale ed incessante tramutato alla fine da un urlo di gioia incontenibile per la vittoria della squadra di pallacanestro Sincat e la conseguente promozione in serie A.
Al ritorno in sede, il Rizzato offrì bibite a volontà per tutti quei ragazzini che avevano contribuito al conseguimento di un risultato mai più ripetuto; personalmente ricordo che a seguito di quella giornata, per una settimana un’influenza mi costrinse a letto ed il volume della mia voce era zero.
Sotto la presidenza del Rizzato, il Dopolavoro ha girato a mille! Vedi squadra pallacanestro in serie A, meravigliose serate danzanti, compagnie teatrali sotto l’egida del Dopolavoro, campionati di calcio aziendali spettacolari, biblioteca fornitissima, lido estivo al sacramento, premi di poesia, incontri culturali etc.
Oggi la sede di via Malta, che si era ridotta a sala da gioco per appassionati di ramino e carambola, non esiste più; al campo sportivo, a volte, si assiste a partite con protagonisti patetici, che non si vogliono arrendere agli anni che passano, e riescono a realizzare incontri del tipo partite del cuore; il lido estivo non c’è più da tempo, come si sono perse nella notte dei tempi le serate danzanti all’Asteria Bleu o altri ritrovi, dimenticati i premi poesia e incontri culturali.
Quel Dopolavoro che riusciva a coinvolgere tantissimi lavoratori e famiglie non esiste più, se non nei ricordi di chi ha vissuto quegli anni che purtroppo difficilmente si ripeteranno.

NATALE E CAPODANNO IN FABBRICA
Già da molti anni non s’illumina più l’albero vicino gli spogliatoi CR, forse per motivi di sicurezza; peccato perché quell’albero illuminato dava un’aria di festa anche in una giornata lavorativa grigia.
Da sempre gli elettricisti di stabilimento si sono prodigati per realizzare dei bellissimi alberi di Natale, che con le loro multicolori luci intermittenti davano un tocco gioioso ai vari posti di lavoro.
Certamente un Capodanno trascorso in fabbrica non si dimentica facilmente, anche se qualcuno – che non ha provato questa esperienza – potrà storcere il naso.
Da sempre tra i turnisti esiste un accordo mai stipulato da alcuno e cioè di non mancare al turno di Natale e Capodanno tranne casi straordinari, e alleggerire il più possibile il lavoro al terzo turno, per poter questi lavoratori festeggiare bene Natale e Capodanno in fabbrica, imprevisti permettendo.
La mia unica esperienza risale al 31 dicembre 1970 quando effettuai il 3° turno all’Officina Meccanica 3.
In portineria la vigilanza, su disposizione della Direzione, distribuì a tutti i lavoratori del 3° turno montante, un panettoncino e dieci sigarette sfuse.
Il mai dimenticato capoturno Alastra, affettuosamente conosciuto come ‘u Zu Pippinu, aveva concesso a due componenti della squadra il giorno di ferie per poter trascorrere la serata con moglie e figli.
Grande fu la sua sorpresa, e non solo sua, quando benché i due avessero le ferie firmate, alle 22.00 si trovò la squadra al completo!
Nessuno di noi a distanza di anni, testimoni di quella bella e indimenticabile notte, potrà mai dimenticare le lacrime di gioia dell’Alastra; un capoturno tenero comu ‘u pani ‘i casa, che ci trattava con l’affetto di padre.

VENUNU I FIMMINI
Intorno al 1975, vennero assunte per legge, delle operaie che avrebbero effettuato i turni completi in reparto.
Di colpo l’Azienda si trovò spiazzata, nei reparti di punto in bianco furono costruiti i servizi per le donne e relativi spogliatoi, nelle cabine degli impianti furono tolte le stampe delle donne nude e relativi giornali; i reparti si ingentilivano per la presenza in turno del personale femminile.
Queste donne, a volte, tennero testa agli uomini nel lavoro, coprivano i turni, effettuavano straordinari, alcune erano sposate, altre avevano storie e altre ancora incontrarono in fabbrica il loro amore.
Questo fenomeno durò all’incirca un quinquennio, poi ci fu chi si licenziò, chi se ne andò dietro incentivo e le rimanenti furono tutte sistemate in altri posti di lavoro lontano dagli impianti.
Ancora oggi, queste ragazze entrate nella storia dello stabilimento, sono ricordate per quel
tocco di magia che seppero dare nei vari reparti ove prestarono servizio.



CONCLUSIONI
La fine degli anni settanta, trova un certo lassismo nella classe lavoratrice, da troppe parti si sentiva dire: Chistu nun mi tocca! Nun è compitu miu! A mia ma ponu…, e stranamente l’Azienda non prendeva nessuna posizione, tutto scorreva liscio come l’olio e nessuno avrebbe mai ipotizzato che da lì a poco ci sarebbe stata la prima cassa integrazione.
Venne puntualmente, imitando la FIAT di Torino che aveva dato il via; questa volta ai vari scioperi aderirono anche gl’impiegati pirchì si sintevano ‘i peri friddi.
Tantissime assemblee, sfilata di sindaci, uomini politici, la MONTEDIPE (così frattanto si chiamava la fabbrica) aveva una bella fetta di lavoratori in cassa integrazione, in un certo senso l’Azienda si era liberata di molti “chistu nun mi tocca… nun è compitu miu… a mia ma ponu…” e si erano consumate delle vendette.
Tanti appelli al Governo Regionale, picchetti dei cassaintegrati alle portinerie, poi a poco a poco tutto ritornò alla normalità, la cassa integrazione dovette essere accettata perché era attuata in tutta Italia e i lavoratori alle portinerie giorno dopo giorno diminuirono sino a scomparire; chi aveva l’arte e l’aveva messa da parte, come si suole dire, la tirò fuori e iniziò a lavorare in nero, ad alcuni la condizione del cassaintegrato stava benissimo.
Altri lavoratori dietro incentivi in denaro, si licenziarono tentando fortuna nel commercio o nelle altre attività, a dir il vero solo pochi sono riusciti, i più che si sono improvvisati commercianti sono stati divorati dai pescecani di mestiere.
Alla prima cassa integrazione, ne seguirono altre e altre ancora, e tutt’oggi si parla di autunno caldo con perdita di posti di lavoro; sono scomparse del tutto o ridimensionate al minimo le ditte che operavano in stabilimento con grandi forze di lavoratori: la GRANDIS, GECO MECCANICA, COSEDIN, NAVAL MECCANICA e tante, tante altre; basti pensare che in fabbrica operavano all’incirca diecimila persone, i posti di fumo era pieni così come gli autobus interni che circolavano con una certa frequenza per le strade dello stabilimento.
Chi, come me, ha vissuto gli anni delle vacche grasse desidera che possa ritornare quel periodo florido; non fosse altro perché mai come ora in Sicilia occorrono tantissime buste paga per i ragazzi che non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro.
La zona industriale priolese, rappresenta la speranza giovanile e la speranza è un sogno che non può e non deve morire, il mio augurio è quello che in un futuro prossimo questa fabbrica possa diventare il riscatto economico sociale di questo profondo sud.

Armando Carruba

venerdì 24 dicembre 2010

BUON NATALE !


Carissimi amici, vi auguro un sereno BUON NATALE con questi versi del palermitano Federico Vaccaro. A U G U R I
armando carruba

giovedì 9 dicembre 2010

RIUNIONE POETICA



Carissimi amici,
Giorno 18 dicembre 2010 alle ore 18 co. la CISL di via Arsenale 22 Siracusa (ex salone di Conigliaro) appuntamento con la poesia e musica natalizia:

- 'U NATALI 'I NA VOTA

- 'U NATALI DDE' PUPI

- SUPERSTIZIONE DEL NATALE

- POESIE IN DIALETTO NATALIZIE

- CANTI

Siete invitati tutti, e quannu dici tutti siti pappiddaveru TUTTI !

anteaspoesie@yahoo.it

giovedì 25 novembre 2010

TERMINI SICILIANI DI UNA VOLTA



CURRIOLA (di letto)
Letto che invece di piedi ha quattro girelle, e tiensi sotto i letti: carriuola

anteaspoesie@yahoo.it

Armando Carruba

giovedì 11 novembre 2010

SAN MARTINO - la festa a Siracusa


Più che una festa religiosa la ricorrenza di San Martino la si può definire una sagra popolare che festeggia l'arrivo del vino nuovo.

Fino agli inizi del novecento questa sagra veniva realizzata nei quartieri popolari di Ortigia che in quella occasione si trasformavano in palcoscenico dove la gente rappresentava uno spaccato di vita popolare.

Quei cortili, quelle piazze si animavano con canti e balli in attesa che arrivassero i carretti con le botti del vino nuovo.

La taverna era il punto centrale dove si ritrovava la gente, fedele al vecchio detto:

La morti di lu purpu è la cipudda

la vita dill'omu è la taverna!

'U zuccaru preparava i sanfurricci, bastoncini di miele e zucchero, vera delizia per i carusi. L'odore delle castagne arrostite si intrecciava con la possente voce del vanniaturi che annunciava:

E' San Martinu, zippuli e vinu

llicca mommu e favi caliati

sarausani, siti ammitati.

Ceste di zippuli, dolce della cucina povera siciliana, venivano offerte condite col miele, zucchero e vino cotto di carrubba mentre il venditore di sangunazzu e robba cotta offriva la sua merce condita di allegre illusioni.

Ed ecco, dal fondo della strada, spuntare i carretti 'mpinnacciati, capolavori di un'arte popolare che si estrensicava attraverso questi gioielli ancora vivi nei nostri ricordi.

Attorno quei carretti carichi di vino si snodavano balli e canti popolari mentre 'i tavirnaru offriva la vippita con generosa allegria. Questo modo di far festa, arricchito di tanta spontanea partecipazione, donava alla gente gioia e spensieratezza rendendola protagonista di una realtà antica e nuova.

armando carruba

lunedì 25 ottobre 2010

SCENE DI VITA VISSUTA di Giorgio Guarnaccia




Sabato 23 ottobre 2010, co. il salone della scuola DISNEYLAND di Siracusa,
il Centro Studi Turiddu Bella e l'ANTEAS di Siracusa, hanno presentato delle
scenette di Giorgio Guarnaccia SCENE DI VITA VISSUTA per la regis di Agostino
La Fata.

Presentatori della serata Armando Carruba e Rosalba Randone

Sono intervenuti gli attori della compagnia ANTEAS - Pippo Amenta, Nadia Zoccolan, Francesco Frittitta, Rossella Miraglia, Antonio Di Grande, Carla Cassia, Antonio La Rosa, Lucia Zanchì, Salvatore Amato, Luigi Suma, Lucia Lombardo, Corradina Santuccio, Donatella Crisinelli.

Le poesie di Turiddu Bella sono state lette da Maria Bella e Giorgio Guarnaccia.

ballerine - Giorgia Daluisio e Serena del BALLET SCHOOL di Lucia Spicuglia

partecipazione straordinaria di Giuseppe Pastorello.

FOTO E RIPRESE VIDEO - Gino Cataudo

sabato 23 ottobre 2010

SCENE DI VITA VISSUTA



Sabato 23 ottobre 2010 ore 19 co. il salone scuola DISNEYLAND viale Rizza 4 Siracusa, il C.S.T.B. con la collaborazione del gruppo teatrale A.N.T.E.A.S. con la regia di Agostino La Fata, metterà in scena alcune scenette di Giorgio Guarnaccia.
Recitazione poesie del poeta Turiddu Bella
con la partecipazione di L.S. BALLET SCHOOL di Lucia Spicuglia e del folk singer Giuseppe Pastorello.

INGRESSO GRATUITO

giovedì 21 ottobre 2010

RICORDANDO I POETI ...


Nell’avvicinarsi della FESTA DEI MORTI – nella tradizione siciliana la ricorrenza dei defunti viene detta “Festa dei morti” per il motivo che al dolore dei grandi c’è la gioia dei piccoli nel sapere che i murticeddi hanno portato loro in dono un giocattolo – desidero ricordare i poeti che hanno partecipato alle varie edizioni della TERRA MIA organizzate dall'ANTEAS e dall'A.V.I.S. di Siracusa:


– Pippo Borderi, Stefano Nobile, Michele Golino, Giovanni Torchevia, Oreste Reale, Roberto Sipione, Vittorio Burgio, Letterio Cafeo, Salvatore Guggino, Armando Greco e il musicista Natale Emanuele Conforto.

Sempre presenti nelle nostre menti e nei nostri cuori.

poesia autore

‘A TERRA MIA PIPPO BORDERI
U PISCI E U VINU STEFANO NOBILE
CIURI ‘I CAMPU MICHELE GOLINO
STIDDA ‘NTRA LA NOTTI GIOVANNI TORCHEVIA
FRUMENTU ORESTE REALE
DUCIZZA ROBERTO SIPIONE
L’ARVULU D’ALIVA VITTORIO BURGIO
SARAUSA SALVATORE GUGGINO
SONNU CATARINA LETTERIO CAFEO


‘A TERRA MIA (Pippo BORDERI)

Sì tantu cantata
ca ssì a cchiù bedda di tutti
ccu ddi beddi viduti
e ddu mari brillanti.
Si fatta di petri antichi
e di vecchi riordi
unni vulissutu riviviri
‘u tempu passatu.
Ora, cchiù tempu passa
cchiù vecchia ti fai,
ma li ricchizzi toi
nun vanu perduti
anzi si fanu
cchiù beddi e novi
e ammirati
di poveri e ricchi.
E tu ssì cca
bedda, eleganti:
pari ‘n armatu autu e putenti
ca tanti amari guerri
cummatti e taci, in silenziu.
E ssì ammirata fra tutti l’autri
comu a cchiù bedda e antica città
Sarausa!

Pippo BORDERI

LA MIA TERRA – Sei tanto cantata/ che sei la più bella di tutti/ con quelle belle vedute/ e il mare brillante/ Sei fatta di pietre antiche/ e di vecchi ricordi/ e vorresti rivivere/ il tempo passato/ Ora, più passa il tempo/ più vecchia ti fai/ ma le tue ricchezze/ non vanno perdute/anzi si fanno/ più belle e nuove/ e ammirate/ dai poveri e ricchi/ E tu sei qui/ bella, elegante/ sembri un guerriero alto e potente/ che tante guerre amare/ combatti e taci, in silenzio/ E sei ammirata tra tutte le altre/ come la più bella e antica città/ Siracusa!

PIPPO BORDERI
Con Pippo ci conoscevamo da bambini, lui abitava in via Somalia, una traversa di via Malta, ed io all’ex Stazione Sanitaria Marittima in via Molo, oggi l’edificio che era adibito ad Ospedale e che qualche siracusano ricorda ancora come “U Lazzarettu” è sede dei vigili urbani.
Erano gli anni del dopo guerra, gli anni in cui nelle nostre case non c’era niente e c’era tutto: niente cucina a gas ma a legna, niente TV, niente radio, niente frigorifero, niente automobile, niente motocicletta, a volte niente biciclette … ma erano case ricche d’amore.
Pippo si distingueva da tutti noi, sin da bambino era serio, difficilmente giocava con noi ai villini o al molo S. Antonio, ricordo che raccoglieva cartoline di tutte le città italiane, ce li chiedeva e li pagava pure!
Finita la terza media andò ad apprendere il mestiere d’elettricista, era la sua passione più che un mestiere fin da ragazzo.
Lo incontrai anni dopo, mi parlò di un film locale che aveva realizzato, io muovevo i primi passi in un teatrino di parrocchia.
Le nostre strade s’incrociarono più volte, con il tempo era diventato un bravo organizzatore, pur movendosi con pochi mezzi aveva la spregiudicatezza d’andare a Catania e contattare attori e attrici dello Stabile di Catania e portarli sulla scena aretusea.
Ricordo al caffè – luogo d’incontro d’artisti o pseudo tali - le risate che ci facemmo alle sue spalle quando annunziò che avrebbe portato allo stadio Nicola De Simone il complesso dei POOH che all’epoca era primo nelle classifiche della hit parade.
Ci rimangiammo quelle risate con gli interessi, i POOH riempirono per ben due volte il vecchio stadio e gli amici che avevano creduto in lui finanziandolo guadagnarono bene.
Tra noi c’era stima e affetto, anche se non era necessario, quando doveva strapparmi un sì per qualsiasi parte teatrale grande o piccola, ricorreva alla frase “ricordati ca nuatri ni canuscemu ‘i nichi!”
Se ne è andato un pomeriggio d’ottobre, mentre gli amici della compagnia Tropical Piccolo Teatro, diretta da Agostino La Fata, erano riuniti alla sede CISL di Siracusa, per un’improbabile registrazione di voci nel tentativo estremo di fargliele ascoltare e uscire dal coma… La triste notizia ci colse impreparati, Pippo Borderi era uscito di scena in silenzio, ma quanto rumore nei nostri cuori quel silenzio…

Armando Carruba


U PISCI E U VINU – (Stefano NOBILE)

Quanti frutti runa ‘u mari
pisci vari ri tanti saputi
‘u tunnu alalonca e pisci spata
‘i frutti ri mari pi fari ‘nzalata.

Pisci arrustutu, bollitu e ‘nfiunatu
cozzi, rizzi, pateddi n’hama manciatu
purpi, sicci, paranza e calamari
e tanti autri molluschi vari.

Murruzzi, trigghi, jammiri e gamberoni
sunu pi tutti na grandi passioni
c’è ‘u sgummu, a sarda e u masculinu
unni ci sì assetta nu bicchieri ‘i vinu.

‘U vinu ci voli, bonu e misuratu
assiemi a lu pisci veni gustatu,
pisci pisci co’ vinu accuppiatu
ti senti ‘n saluti e mai malatu.

Stefano NOBILE

IL PESCE E IL VINO – Quanti frutti da il mare/ vari pesci che tanti conoscono/ il tonno, l’ala lunga e il pesce spada/ i frutti di mare per fare l’insalata/ Pesce arrostito, bollito/ cozze, ricci, telline ci siamo mangiati/ polpi, seppie, pesci piccoli e calamari/
e tanti altri molluschi vari./ Merluzzi, triglie, gamberi e gamberoni/ sono per tutti una grande passione/ c’è lo sgombro, la sarda e il mascolino/ dove si siede un bicchiere di vino/ Il vino ci vuole, buono e misurato/ assieme al pesce viene gustato/ pesce con il vino accoppiato/ ti senti in salute e mai malato.

STEFANO NOBILE

Il commendatore Stefano Nobile ha partecipato a due rassegne della TERRA MIA la quinta del 13 gennaio 2001 e la sesta del 12 gennaio 2002, mettendosi in luce per la sua carica di simpatia e sicilianeità.
Un grande bagaglio culturale siciliano, appreso nei tanti anni di vendemmia, a fianco
dei contadini, un’enciclopedia ricca di versi popolari, proverbi, detti, racconti etc.
Contento della serata del 2001, l’anno successivo portò e distribuì a tutti coloro che ne facevano richiesta il volume che aveva dato alle stampe nel 2000 LE POESIE DEL COMMENDATORE poesie d’amore, d’attualità, siciliane e umoristiche.
Il 3 agosto del 2002 nel corso della prima rassegna poetica VIENTU R’AMURI a Marzamemi lessi la sua poesia “’A vinnigna”, avrei voluto avere molto tempo a disposizione per ascoltarlo, purtroppo oggi oltre la distanza che ci divideva ci manca sempre più il tempo.
L’amico poeta Sebastiano Giuga, mi comunicò la sua scomparsa.
Pachino ha perso uno dei suoi figli migliori.

Armando Carruba

CIURI DI CAMPU – (Michele GOLINO)

Biata la natura ca vi fici
e chini di coluri vi vistìu
‘mmenzu all’ervicedda cresciti
gudennu di lu tempu assignatu

Picca ‘u ciauru ca pussiditi
ma basta ‘a biddizza ppi giuiri
na festa ‘nta li campi purtati
ca casi e pirsuni rallegrati

Quannu lu suli è ‘o tramuntari
e astuta ‘i luci da jurnata
pronti ssu ‘i stiddi a cumpariri
comu li ciuri mai siminati.

Michele GOLINO

FIORI DI CAMPO – Beata la natura che vi ha creato/ e pieni di colori vi ha vestito/ tra l’erbetta crescete/ godendo del tempo assegnato/ Poco l’odore che possedete/ ma basta la bellezza per gioire/ una festa nei campi portate/ che case e persone rallegrate/ Quando il sole è al tramonto/ e spegne le luci della giornata/ pronte sono le stelle a mostrarsi/ come i fiori mai seminati.

MICHELE GOLINO

Michele Golino è stato un bravissimo pittore verista; l’ho conosciuto nello studio del pittore Alfano al Corso Gelone nel momento in cui muoveva i primi passi nella poesia dialettale.
Un amico comune ci presentò e mi chiese se potevo dargli una mano cosa che feci ben volentieri; uscito dal lavoro mi aspettava alla fermata dell’autobus e a casa mia parlavamo di poesia dialettale scambiandoci pareri.
Volle ringraziarmi un giorno molto simpaticamente; mi invitò a casa sua e dopo aver parlato del più e del meno mi mostrò due quadri dicendomi: quale ti piace? – questo, risposi indicando un paesaggio marino, - giralo! mi disse … lo girai c’era scritta una dedica per me.
La mattina del 7 gennaio 2000 gli telefonai dall’ufficio:
- Pronto Michele come va?
- Tutto a posto Armando e tu?
- Mi raccomando stasera vieni al Vermexio?
- Certo che vengo la mia poesia la leggi tu?
- Sì …te la leggo io, a stasera Michele ciao

La sera al Vermexio Michele Golino non c’era, cominciò la Rassegna furono lette delle poesie, ad un certo momento Agostino La Fata m’informa sottovoce che Michele Golino ha avuto un infarto e non c’è più. Attimi di smarrimento, decidiamo di dire lo stesso la poesia e di dire della sua scomparsa.
Al microfono Agostino trova le parole adatte per informare la sala che Michele Golino ci ha lasciati per continuare il cammino nella Fede, il poeta Pietro Cataudella propone di dire un Padre Nostro e tutta la sala prega.
La quarta rassegna della TERRA MIA non la dimenticheremo mai.

Armando Carruba


STIDDA ‘NTRA LA NOTTI (Giovanni Torchevia)

Quannu lu suli si curca
e u jornu sunnulìa,
cala supra ‘u me’ cori
na gran malincunia

La cutra di la notti
cummogghia tutti cosi,
cumparunu li stiddi
ma stuta l’occhi mia.

‘Nmenzu a tuttu ddu scuru
la menti mia s’adduma,
lampìa e spisiddìa
picchì né mé pinzeri vidu a tia.

Giovanni TORCHEVIA

STELLA NELLA NOTTE – Quando il sole si corica/ e il giorno s’addormenta/ cala sul mio cuore/ una grande malinconia/ La coltre della notte/ copre tutte le cose/ compaiono le stelle/ si spengono i miei occhi/ In mezzo a tutto quel buio/ la mia mente s’accende/ lampeggia e si sbizzarrisce/ perché nei miei pensieri vedo te.


GIOVANNI TORCHEVIA

Se il presentatore Nunzio Filogamo è ricordato per la sua frase “Cari amici vicini e lontani…” Giovanni Torchevia, radiofonicamente parlando è ricordato per quel suo modo di salutare a fine trasmissione “e sono il vostro amico Giovanni Torchevia vogliamoci tanto bene”.
Giovanni l’ho conosciuto all’emittente locale diretta da Armando Greco, Superradio Siracusa; si occupava di programmi di poesie, canzoni, opinioni, dediche, richieste etc.
Scriveva poesie in lingua e dialetto e racconti; vincendo varie volte nei concorsi.
Aveva dentro sè una forte carica d’umanità, amava il suo pubblico radiofonico ed era ricambiato, insieme abbiamo condotto programmi siciliani, e quiz che avevano come premio libri messi a disposizione da amici scrittori.
Un male attaccava il suo fisico ma non il suo animo; al ritorno dalle ferie estive del 2004 un amico comune mi comunicò la sua scomparsa, risento il suo saluto e chissà quanti come me … “e sono il vostro amico Giovanni Torchevia vogliamoci tanto bene!” sì Giovanni vogliamoci tanto bene finchè ci siamo… ciao!

Armando Carruba

FRUMENTU – (Oreste REALE)

Comu l’unna si movi
lu mari d’erba ‘nfucata, e cimiddìa.
Acchiana pi l’aria nu diliriu
di griddi e di cicali,
e ‘ntrona lu ruspu ca s’addurmisci,
supra na fogghia ‘ntra la riva e l’acqua.

Mari di pratu e fraschi
c’hannu di l’omu li culura.
Rispittusa la spica ‘ncurunata,
cala la testa a la so matri terra
e, ‘ntra nu ruppu e l’autru,
la canna vacanti sona
a la carizza di lu ventu maiulinu.
La lunguledda sbatti e stenni la manu
p’acchiappari na nota di frischittu
ca pi l’aria và, circannu la calura.
Aspettanu la fauci li spicuzzi
cu li capiddi bruni a ventu a ventu.
Lu suli, l’acqua lu surcu di viddanu,
ficiru nasciri, di la terra arsa,
la carni di nostru Signuri.
E la spica si ruculia
comu na bedda figghia
cu lu spènsiri novu
davanti a lu specchiu.
Poi, a la sira, lu ramu siccu
si smarina e pensa
ca a ghiornu addiventa frumentu
e poi farina e poi, supra la mensa,
Ostia saramintata.

Oreste REALE


ORESTE REALE

Ho conosciuto Oreste nel 1976 a casa del dott. Spicuglia che aveva messo a disposizione una stanza adibendola a emittente radiofonica locale “Siracusa Sound”.
Insieme abbiamo condotto tante trasmissioni di poesie, l’emittente era ricca di programmi culturali: medicina, sport, sociale, dibattiti politici etc. Anche se non mancavano i cosiddetti programmi leggeri: quiz, dediche e richieste etc. poi le nostre strade si divisero.
Un giorno mi diede un copione – Un siracusano a Milano – lo passai ad Agostino La Fata, ed ebbi l’occasione di presentarli ... nacque un meraviglioso sodalizio, la compagnia diretta da La Fata negli anni ha messo in scena con successo molte commedie di Oreste Reale.
La sua scomparsa ci lascia orfani di un uomo di cultura che tanto ancora aveva da dare al mondo teatrale e culturale; un esempio per chi volesse cimentarsi a scrivere per il teatro.
Armando Carruba


DUCIZZA – (Roberto SIPIONE)
E pinzari c’haju sunnatu ppi tanti anni
tra sti quattru mura di jssu
‘na picciotta ‘i casa comu a tia!
…U chiantu
e la granni ducizza ca mi duni
macari quannu…
nun meritu mancu na to’ taliata!
Ssì accussì bedda ppi mia
ca ‘a li voti penzu…
ca ssì pappiddaveru mia!
Haju a vestiri l’occhi to’ di autri mumenti
haju a stutari l’urtima stidda
unni lampianu i me’ sonni di ventu.
A voti m’addumannu…
unni trovi dda’ forza
ppi vinirimi appressu ‘nte me’ fuddii,
‘nta ddu’ mumentu…
tu sula ssì ‘n ancilu
e ju…
‘u picciriddu di ddà futugrafia
c’ha ristatu ‘nto tavulu
‘nto pruvulazzu ddo’ tempu,
ma è ‘nta puisia ca semu ‘i stissi,
forti, tutti dui, luntani…
comu ddu rai ‘i suli
comu ddu stizzi di luna
‘nta mari d’amuri.
Eppuru sai,
quannu lu jornu ssi nni va ccu tia
tornu a pinzari ‘ntra sti mura ‘i jssu,
e ‘nta me’ faccia ‘i petra
m’accarizza ‘u solitu duci amaru turmentu,
e penzu ca…
“fimmini comu a tia”
ca si cercanu sempri
nun s’avissuru ‘a truvari mai
avissunu ‘ssiri sulu
stiddi ‘nto celu
dd’addumisciri tutti i notti ‘nta l’arma.
Roberto SIPIONE


ROBERTO SIPIONE

Roberto Sipione, alias Roberto Mondial, per la sua lunga militanza a Siracusa Mondial Radio, è stato il poeta in assoluto.
Vincitore di numerosi concorsi letterali, era noto in città e provincia per i suoi
programmi radiofonici dove tra una canzone e una dolce melodia porgeva i suoi
versi riscotendo consensi.
Dopo la chiusura di Mondial Radio, ci siamo ritrovati a Superradio e anche lì confermò le sue qualità di conduttore radiofonico.
Al suo funerale, un amico comune, in lacrime mi raccontò che Roberto per anni
è stato sempre disponibile giorno e notte, feriale o festivo a dare conforto agli ammalati con la sua professionalità d’infermiere e soprattutto con tanto infinito
amore, e a sottolineare le parole di quest’amico, un signore dall’altare con la sua
testimonianza ci faceva conoscere un Roberto Sipione che per anni e anni è stato
in prima linea nel volontariato senza nulla chiedere; un lato di Roberto che molti
di noi ignoravamo.

Armando Carruba

L’ARVULU D’ALIVA – (Vittorio BURGIO)

La to’ granizza è putenza,
e ‘nte me’ riordi
vinci li putenti.
‘U to’ stemma è ‘a paci,
e ogni tantu ‘a to’ forza taci,
ma ti viru rammaricatu
ti talìu ccu stima
ma ti viru malatu.
Chi hai? parra?
Caru amicu miu
mi rattristu ogni tantu,
viru li me’ rami a lu ventu
pirchì puru ppi iddi su tempi duri,
nun sapennu agguantari li so’ ciuri
e macari ddu jornu
ccu lu so’ ventu
sennu rami ‘i razza
a nà truvari la so’ bunazza

Vittorio BURGIO

L’ALBERO DELL’ULIVO – La tua grandezza è potenza/ e nei miei ricordi/ vinci i potenti/ Il tuo stemma è la pace/ e ogni tanto la tua forza tace/ ma ti vedo rammaricato/ti guardo con stima/ ma ti vedo malato/ Che hai? parla?/ Caro amico mio/ mi rattristo ogni tanto/ vedo i miei rami al vento/ perché pure per loro sono tempi duri/ non sapendo tenere i suoi fiori/ e magari quel giorno/ con il suo vento/ essendo rami di razza/ dobbiamo trovare la loro bonaccia.


VITTORIO BURGIO

A presentare Vittorio Burgio agli amici della Terra mia, è stato il poeta Pippo Barbagallo, entrambi siracusani dda’ buggata, i Burgio erano famosi negli anni
50/60 per il mitico caffè Burgio, ch’era situato al largo destro dell’inizio di via
Piave di fronte alla ferrovia.
Vittorio è stato insegnante di meccanica all’Istituto Educativo Umberto I° per i siracusani di una certa età conosciuto come l’Ospizio, quando era ubicato al C/o
Umberto I° (‘u rettifilu).
L’Ospizio negli anni cinquanta oltre ad ospitare orfani dei caduti in guerra, ha levato dalla strada tanti ragazzini insegnando loro un mestiere come tipografo, meccanico,
elettricista etc. e avviandoli ad un lavoro sicuro.
Nei momenti di svago in quell’Istituto, interminabili partite di pallone sullo spazio mattonato del cortile e tutti rigorosamente scalzi!
Allenatore in quegli anni padre Emanuele e grazie a lui tanti ragazzi in seguito hanno militato in squadre di calcio del campionato di serie C e B.
Vittorio Burgio è ricordato alla Terra mia, per la sua disponibilità, gentilezza e le sue poesie dove rispecchiano la nobiltà d’animo del mai dimenticato Vittorio.

Armando Carruba

SARAUSA – (Salvatore GUGGINO)

Sarausa ca vigghi
‘nta sta notti d’’stati,
ti talìu ddo’ tiatru grecu
‘nta tutta ‘a biddizza
ddi ‘sta notti ‘i luna!
‘U lamentu dde’ cani
‘nte casi lontani
rumpi ‘u silenziu
‘o mari, ca s’annaca
‘o portu granni.
Parranu anticu
sti petri ca figghianu
jornu doppu jornu
ervi e ciuri ‘i campagna.
‘Nti tia riposa
‘a fatica ddo’ jornu
passatu,
lassanu postu
a sonni ‘i carusanza,
cu sapi si stanotte ‘u miu...
Ti viru accussì
amanti dde’ stiddi
ca t’hanu ‘a pur tari
tuttu l’amuri miu
di quannu nascìu
finu ‘e to’ rarichi funnuti
oggi e dumani ...

Salvatore GUGGINO

SIRACUSA – Siracusa che vegli/ in questa notte d’estate/ ti guardo dal teatro greco/ in tutta la tua bellezza/ di una notte di luna/ Il latrar dei cani/ dalle case lontane/ rompe il silenzio/ al mare che ondeggia/ al porto grande/ Parlano antico/ queste pietre che nascono/ giorno dopo giorno/ erbe e fiori di campagna ./ In te riposa/ la fatica del giorno/ passato/ lasciando il posto/ ai sogni della fanciullezza/ chissà se stanotte il miu.../ Ti vedo così/ amante delle stelle/ che devono portarti/ tutto il mio amore/ di quando son nato/ fino alle tue profonde radici/ oggi e domani ...





SALVATORE GUGGINO

Il dottore Salvatore Guggino, era quello che si dice ‘n pezzu ‘i pani! Prestava la sua opera presso l’INAM con diligenza, scrupolosità e quella umanità tanto ricercata negli ambulatori, tanto che oggi è diventata merce rara.
Era uno dei punti di riferimento per l’A.V.I.S. e uomo di cultura fine poeta.
La sua dipartita mi ha colto impreparato una mattina che uscendo dall’Ospedale, per delle analisi, ho letto il suo necrologio.

Armando Carruba







SONNU CATARINA – (Letterio CAFEO)

M’arrisbigghiai allegru ‘na matina
me’ mugghieri mi rissi: Chi sì stranu!
cu st’aria contenta e libertina,
chi ti successi? E mi strinciu la manu.

Ci rissi: Mi sunnai ‘na cosa strana
ca ‘n sonnu la liggevu ‘nto giurnali:
“ L’UMANITA’ E’ DIVENTATA SANA”
nun ci su latri e mancu criminali,

nun s’a parrai cchiù di li tangenti,
nun cisu scippi né rapini e scassi,
su tutti onesti l’alti dirigenti
e ‘u Guvernu vo’ livari i tassi.

Li cosi m’hannu parsu accussì veri
ca nun pozzu scurdari dda matina.
Risbigghiati! mi dissi me’ mugghieri
Risbigghiati! è sonnu CATARINA!

Letterio CAFEO

SOGNO CATERINA – Mi sono svegliato allegro una mattina/ mia moglie m’ha detto: che sei strano!/ con quest’aria contenta e libertina/ che ti è successo? e mi ha stretto la mano/ Gli dissi: ho sognato una cosa strana/ che nel sogno la leggevo sul giornale/ L’UMANITA’ E’ DIVENTATA SANA/ non ci sono ladri e neanche criminali/ non si deve parlare più di tangenti/ non ci sono scippi né rapine o scassi/ sono tutti onesti gli alti dirigenti/ e il Governo vuole togliere le tasse./ Le cose mi son sembrate così vere/ che non posso dimenticarmi di quella mattina/ Svegliati mi disse mia moglie/ svegliati! è sogno CATERINA!


LETTERIO CAFEO

Il prof. Arturo Messina il 10 febbraio 2006, così ebbe a scrivere sul quotidiano Libertà in occasione della scomparsa di Letterio Cafeo:

Tutti a Siracusa lo conoscevano e lo stimavano, non solo per la sua vena poetica spontanea, che numerose volte gli ha procurato ambiti riconoscimenti ai concorsi di poesia in vernacolo banditi ovunque in Sicilia, non solo per la validità delle sue raccolte liriche pubblicate e lette da tanti amatori di poesia siciliana, ma anche per la bontà del suo carattere, per il fine umorismo che scaturiva dalla sua visione serena della vita e si profondeva nel dialogo con gli amici e nei suoi versi, che egli curava premurosamente non solo nel contenuto ma anche nella forma particolare siciliana.

L’ho conosciuto in una delle rassegne che si svolgevano annualmente a Manghisi negli anni ottanta, e in queste della Terra mia; di lui oltre l’ indiscussa bravura nel poetare possedeva modestia e bontà d’animo fuori dal comune; un paio di volte le
sue poesie, per papere del lettore, sono state presentate male al pubblico, Letterio accettava con un sorriso perché se è vero che ccu mancia fa muddichi, è altrettanto vero che chi legge poesie può produrre papere.
Per chi scrive poesie partecipando a concorsi e rassegne, Letterio Cafeo è un esempio da imitare; Siracusa parafrasando il Buttitta con la scomparsa di Letterio Cafeo ha perso una corda di quella chitarra che è il nostro dialetto.

Armando Carruba


NATALE EMANUELE CONFORTO

Eravamo vicini di casa e lavoravamo nella zona industriale priolese; il maestro Conforto era un poeta anche se non scriveva versi, ma quando abbracciava con amore la fisarmonica, era davvero musica divina.
Artisticamente l’ho conosciuto in un programma televisivo locale in cui entrambi prendevamo parte, in seguito l’ho rivisto suonare in un complesso che aveva successo in un altro programma televisivo condotto da Armando Greco, erano i primi tempi della TV locale.
Tanto bravo quanto modesto, sincero e disponibile; il 15 febbraio 2003 per la settima rassegna curò la parte musicale.
Ricordo che andammo a casa sua disperati per l’ indisponibilità, di un cantante per la canzone “Cumeta siciliana” di Giovanni Frasca e la prerogativa unica era affidarla alla voce di Agostino La Fata … quanta pazienza e disponibilità nel maestro Conforto!
In rassegna dato che l’amico La Fata cantante non è, chiamammo da parte l’autore Giovanni Frasca e gli proponemmo di cantarla lui stesso la canzone … avevamo fatto un uomo felice e anche se stonato riuscì col validissimo aiuto del Conforto a divertire ed entusiasmare il pubblico in sala.
Con la scomparsa di Natale Emanuele Conforto la musica siracusana ha perso un pezzo della sua storia.

Armando Carruba


ARMANDO GRECO

Armando Greco ovverosia: giornalista, poeta, commediografo, conduttore di programmi radiofonici e televisivi, direttore d’emittente privata.
Conoscevo Armando Greco da vecchia data, quando nel ’68 iniziavo a calpestare le tavole del palcoscenico e lui scriveva per un giornale locale che usciva la domenica sotto lo pseudonimo di Argo.
Pieno di idee rivoluzionarie e positive fu direttore della seconda emittente locale che si installò a Siracusa, riscotendo da subito un grande successo per il suo linguaggio popolare.
Questa radio ha dato voce a tutti, anche a persone che avevano litigato con la lingua italiana e che tutto potevano fare fuorché radio, eppure avevano più successo di tanti conduttori preparati di altre emittenti.
E’ stato direttore di una emittente televisiva e otteneva indici d’ascolto invidiabili sino a notte fonda.
Ricordiamo tantissime meravigliose trasmissioni.
L’ho conosciuto negli anni ottanta e sino alla chiusura della radio sono stato un suo collaboratore.
Insieme abbiamo condotto tanti programmi siciliani e culturali.
Ha portato Siracusa al centro dell’attenzione con il premio Capodieci.
Con Armando Greco scompare un pezzo di cultura siracusana.

Armando Carruba

lunedì 11 ottobre 2010

RIUNIONE DEL 13 OTTOBRE 2010 ORE 18



Gent.mi poeti,
Vi ricordo che è indetta una riunione per giorno 13 ottobre 2010 alle ore 18.00 presso i locali della CISL di via arsenale.
Il poeta del giorno è Nino Martoglio
Oltre i poeti sono invitati gli attori della Compagnia ANTEAS
Cordiali saluti.

armando carruba

giovedì 7 ottobre 2010

VERBALE RIUNIONE ANTEAS SEZIONE CENACOLO

il 27 di settembre 2010 si e’ tenuta la prima riunione del cenacolo poetico, dopo la pausa estiva. I soci presenti sono il 50% poeti e il 50% attori.
Il gruppo si e riunito nel nuovo locale che la cisl ha messo a disposizione, stanza che dovra’ essere condivisa con le altre associazioni e fornita di computer collegato a internet e telefono. Inoltre ci saranno due volontari che faranno orario di ufficio per dare un servizio di assistenza a tutti i soci. Il tutto creera’ l’occasione per scambiarsi idee e progetti.
Gli argomenti trattati sono stati vari:
• La proposta di aggiornare gli appuntamenti del cenacolo con ricerche e breve relazione sul poeta che di volta in volta verra’ scelto come tema della serata, per poi passare alla recita delle proprie poesie.
• Si e’ discusso di abbinare a queste serate del cenacolo anche la sezione teatrale,motivo valido per diversificare e farci conoscere da piu’ persone con diverse preferenze ed aspettative. I momenti che prevedono questo tipo di attivita’ si svolgeranno presso il salone cisl con l’invito esteso a tutti i simpatizzanti.
• Le proposte per il concorso di poesie sono state tante. Anita Popolo ha lanciato l’idea di fare un corso di “lingua siciliana”, mentre Carla Cassia chiede di rendere partecipi tutte le scuole di ogni ordine e grado per avere l’apporto dei ragazzi.
• Il tutto viene rimandato alle prossime riunioni visto che il concorso sara’ indetto nell’anno 2011.
• La proposta di realizzare un “giornalino” avanzata dal gruppo dirigente e’ stata accolta con entusiasmo. Il giornalino non sara’ altro che un foglio notizie pubblicato dall’associazione sia on line sia in forma cartacea. Pino Cultrera ha dato la sua disponibilita’ per impaginarlo, altri soci (ancora da designare) saranno i “giornalisti”
• La riunione e’ stata rallegrata da una scenetta scritta e recitata da Giorgio Guarnaccia. Inoltre gli attori dell’anteas sono stati invitati dall’associazione “Centro Studi Turiddu Bella” a partecipare con una breve recita ad una serata in onore del poeta, che si terra’ a siracusa.
La riunione termina alle ore 20°° con l’impegno di rivederci ogni fine mese, mentre i responsabili di ogni settore faranno un incontro a meta’ mese per concordare gli argomenti da trattare e le notizie da pubblicare nel giornalino.
L’incontro intermedio si terra’ il 13 ottobre 2010 alle ore 18°° nei nostri locali.
Rosalba Randone

martedì 5 ottobre 2010

GRANO di Oreste Reale



GRANO

Ondeggia arsa la plaga
e sale un delirio di grilli
ad assordare il rospo
che alla proda sonnecchia

Mare di prato di cespitose piante
che hanno il colore dell'uomo.

Culmi eretti,nodosi,
curvano il ciuffo
e l'internodo cavo,
cann sonora,
dona armonia
al soffio di zeffiro.

La lingua taglia l'acuto
e, sventolando, si lancia
e schiocca per acchiappare
la nota, un sì bemolle,
che va via nel caldo.

Attendono la falce che recide,
le sessili spighette
e altere sbandierano
il ciuffo bruno
come scorza di cafri.

Il sole, il vento,
e ancora inflessa piova,
il solco del villano
e il fido mulo,
trassero dal suolo
il simbolo di Cristo,
e lolla e pula
e loppa e glua,
e resti e stami,
reggono e confortano
il seme, ricco d'albume
che domani sarà farina
e poi pane,
e poi, sulla mensa,
Ostia sacrificale.

Oreste Reale

BAGGHIU DI TUNNARA - Carmelo Molino

BAGGHIU DI TUNNARA
Porti 'nchiusi a lu bagghiu;
àncuri, varchi a siccu
e silenzii.
Sulu lu ventu 'mbrijacu di mustu
cravacca lu cannitu
e cutulia lu frassinu
ca chianci manna.
Sulu lu ventu ca svigghia lu suli,
(No vecchiu nun mi diri
di tunni e di mattanzi
pirchì lu munnu è tuttu na tunnara).
Su sti timpi e sti ciauli
e sti celi 'nnuccenti
e sti scami di mari
su na minzogna,
lassa ca cridu anticchia
la paci di stu bàgghiu.
carmelo molino

CORTILE DI TONNARA - Porte chiuse al cortile/ ancore, barche in secco/ e silenzi./ Solo il vento ubriaco di mosto/ cavalca il canneto/ e scuote il frassino/ che piange manna./ Solo il vento che sveglia il sole/ (No vecchio non mi dire/ di tonni e di mattanze/ perchè il mondo è tutto una tonnara)/ Son questi poggi e queste gazze/ e questi cieli innoccenti/ e queste squame di mare/ sono menzogna/ lascia che creda un poco/ alla pace di questo cortile.

venerdì 17 settembre 2010

RIUNIONE POETICA 27 settembre 2010



Carissimi poeti, è indetta una riunione poetica per lunedì 27 settembre 2010
alle ore 18 co. CISL di via Arsenale 2° piano.
Vi aspettiamo!

armando carruba

per contattarci: anteaspoesie@yahoo.it

venerdì 18 giugno 2010

ORTIGIA MIA di Neli Seguino

(via Dione - Ortigia SR)
ORTIGIA MIA
Passatu è 'n annu e m'hanu parsu centu
ca nun ti virevu cchiù Ortigia mia!
vacanti lu me' pettu ancora sentu
pirchì lu cori lu lassai a tia.
Ora ca sugnu ccà ccu tantu amuri
mi vogghiu dedicari tuttu a tia
vogghiu passari in paci tutti l'uri
di la matina 'nzinu l'Avimaria.
Vogghiu sustari spissu a la Marina
sentìri li canzuni di lu mari
e dill'aciduzzi musica divina.
Quannu ripartu e vadu a la stranìa
lu cori miu ti vogghiu ridunari
pirchì ti amu Sarausa mia!
Ti amu fertili terra ginirusa
ca chianciri mi fai di nustalgia;
ti penzu sempri amata Sarausa
e soffru tantu di malincunia.
Isula ca m'ha datu li natali
m'attiri comu fussi calamita
la luntananza mi fa tantu mali
ca mi turmenta l'esistenza a vita.
Terra mia tuttu amuri e puisia
ogni criatura tò ti devi amari
ccu tuttu 'u cori 'nzinu a' fuddìa.
Ciuri ca ssì sbucciatu 'ntra lu mari
lu focu ca mi cuva 'nta lu pettu
è tantu ardenti ca nun si pò stutari.

Neli Seguino

Ho conosciuto Neli Seguino nel 1976. Presentatomi da un amico, venne ospite in un mio programma radiofonico a Radio IN, stupì tutti per la bravura nel porgere le poesie, ricordo che dovettimo chiudere le linee telefoniche per poter continuare il programma, e gli ascoltatori numerosi vennero in Radio per poter conoscere quella voce.
Neli Seguino, siracusano della via Maestranza - come sottolineava lui - è stato uno dei migliori attori siracusani del secolo scorso, viveva a Roma e ogni anno le ferie le passava nell'amata Siracusa, lo aspettavano gli ascoltatori e quando l'annunciavo i telefoni, come si suol dire, bollivano!
Recitava con disinvoltura in dialetto siciliano, napoletano e romano; i suoi pezzi forti LA LIVELLA di Totò, IL COMBATTIMENTO DI ORLANDO E RINALDO di Nino Martoglio e la ciliegina sulla torta ER FATTACCIO di A. Giuliani.
Tra una scenetta, una poesia e un bel sigaro ultraottantenne è uscito di scena lasciandoci il suo sorriso.
armando

CCA' SUGNU NATU di Angelo Rullini

CCA' SUGNU NATU versi di Angelo Rullini letti da Armando Carruba.

Realizzazione videoclip Gino Cataudo

QUANNU JU MORU VENNICI A SCHISO' di Santo Calì


Quannu ju muru venicci a Schisò
'nta 'na notti d'austu comu a chista
cu li schigghi suspisi di l'ojetta
e la luna ca perciunu lu cori.
Lu mari arriva da luntanu e chianci
repiti longhi d'amanti ammucciati
sutta linzola d'alichi di sita,
e mentri lu scutamu, ahiai lu pedi
s'affunna 'nta la rina e nun putemu
cchiù fujri, e ppi chistu n'abbrazzamu
ni stringemu, 'mpazzuti, ni 'mpicamu
stanchi ni pircantamu 'nta la rina
a scutari li stori di lu mari,
e lampari ca scociunu tunnina.
Quannu ju moru venicci a Schisò
'nta na notti d'austu comu a chista
jisa la canna e attizzaci 'nta l'occhiu
la vita a lu palamidu firutu
ca sbattulia supra la ribba giarna
di coculi fra mari terra e celu
e ribugghi di sangu la scumazza
e lampari ca scociunu tunnina.
Quannu ju moru venicci a Schisò
'nta na notti d'austu comu a chista,
a chianciri lui chiantu di li stiddi
ca tùmmanu 'nta l'acqua spirlucenti
'ncristata di pinzeri allaricannusi
sinu a lu celu a tacca d'ogghiu bonu
e lampari ca scociunu tunnina
ma dintra a l'occhi toi cilestri e funni
li stiddi su' mimoria di la vita.
Quannu ju moru venicci a Schisò
'nta na notti d'austu comu a chista
a sparmari li trizzi sutta 'n ramu
di callippisu a sentiri la vuci
nostra ca mpidugghiata 'nta li fogghi
tessi fulinii spani di silenziu
ca si sciogghi a riciatu di gricali,
e lampari ca scociunu tunnina.
Quannu ju moru venicci a Schisò
'nta na notti d'austu comu a chista
o venici di jornu, o Jajita Azzola,
a sunari la brogna 'nta la vampa
di lu suli a miriju: ricogghi tutti
li pisci di lu mari pi cuntaricci
'ntra na risata e nautra, la storia
di ddu pazzi d'amanti, ca na notti
a riba di lu mari di Schisò,
abbrazzatu ccu tia, o Jàjita Azzola
cuntava stiddi e peni, peni e stiddi.
Santo Calì

Comu si maritaru Jachinu u vruccularu e Betta Arripizzatu di nobili casatu - di Federico Vaccaro

'U TRAMUNTU SARAUSANU di Giuseppe Barbagallo



'U TRAMUNTU SARAUSANU

Quannu tramunta 'u suli
a la marina
e ri russu
si culura l'unna,
'nta 'st'unna tremula,
'nta 'st'unna ca camina
c'è 'na varcuzza
ca pari c'affunna.

'Na nuvula
si cancia ri culuri,
'ntò molu
cu 'na canna 'n piscaturi,
'nt'o celu
'na niura filagna
ri passariddhuzzi
ca tornunu 'ra campagna.

'Nu scogghiu
ca si lassa accarizzari,
ri l'unniceddha
ri 'stu beddhu mari.

'Stu quatru
'u fici Diu, cu la so' manu
e lu chiamò:
tramuntu... però sarausanu!

Giuseppe BARBAGALLO

per contattarci - anteaspoesie@yahoo.it

venerdì 11 giugno 2010

MUSEO FLORIDIA



(cliccare sull'immagine per ingrandirla)

giovedì 10 giugno 2010

LIDO PLAYA - Unni si lavavanu ì scecchi - (da I RAGAZZI DEL MOLO S. ANTONIO di Armando Carruba)

Spazio dove negli anni '50 c'era il Lido Playa.

LIDO PLAYA
Alla Marina c'era un casotto in legno vicino al mare; era la biglietteria per prendere i vaporetti che portavano al Lido Azzurro o al Lido Fazzina, meglio conosciuto come 'a Playa; in seguito fu soppresso il servizio per il Lido Fazzina e finchè durò rimase quello che dalla Marina attraversando il porto giungeva alla sponda opposta, il Lido Azzurro.
Il costo del biglietto negli anni '57/58 era di 35 lire per una sola corsa e 60 lire andata e ritorno.
I ragazzini delle Carcare, Pantheon, Puzzu 'ngignieri e dintorni, per raggiungere 'a Playa raramente utilizzavano il famoso vaporetto; i più grandicelli prendevano in prestito la bicicletta di famiglia, l'automobile la possedeva soltanto l'elite siracusana, e portando un compagno di giochi sulla canna e l'altro sul portabagagli, raggiungevano pian pianino la spiaggia.
Il mezzo più comune per tutti, era quello di cavalcare le scarpe, poichè facilmente si sarebbe potuto ottenere un passaggio, data l'assidua presenza in strada di carretti trainati da cavalli da tiro che prendevano la merce al mercato ortofruttifero all'ingrosso ('a dugana),
I carrettieri erano ben disponibili a far salire i ragazzini e, spinti da quest'ultimi, il più delle volte ingaggiavano con qualche collega una simpatica corsa, colorita da frasi dialletali di sfottò.
Il Lido Playa era la spiaggia dei poveri perchè spesso si potevano incontrare in acqua persone ed animali da soma, ed è per questo motivo che questo luogo ancora oggi viene ricordato unni si lavavunu ì schecchi.
Su quella sabbia intere famiglie si stendevano fin dalle prime ore del giorno, costruendo capanne con le canne e vecchi teloni, i ragazzini sempre a correre, ad attendere l'arrivo ddo' papurinu per poi fare un tuffo da sopra, a giocare a palla o a rimuovere a mare la sabbia cercando conchiglie.
Chi non sapeva nuotare si forniva di una vecchia camera d'aria rattoppata, e all'ora di tornarsene a casa, di corsa a lavarsi con il sapone nelle fredde acque del fiume.
Oggi abbiamo altri lidi, abbandoniamo la città, le usanze, le tradizioni; il Lido Azzurro (unni abballavanu ì pulici) e la Playa (unni si lavavunu ì scecchi) non esistono più, questo lido non è più la spiaggia di un tempo, sepolta da una fitta vegetazione spontanea di cardi spinosi e rovi pungenti.
Un cartello informa in quattro lingue che non si può fare il bagno, la sabbia non la si vede quasi più e quella che c'è è popolata da ogni tipo d'insetto.
Di questa spiaggia rimane solo il ricordo di una fanciullezza riposta nel cuore di chi l'ha vissuta, dove nessun vento la potrà mai portare via.
Armando Carruba

'A SIGNURINA

'A SIGNURINA
Negli anni 30/50, una meravigliosa imbarcazione di colore bianco, collegava direttamente Siracusa a Malta ogni giorno. Ed ogni giorno, i visitatori, fossero molti o fossero pochi, venivano prelevati alla Stazione Marittima ma un minibus che poi li portava a pranzo.
Questa imbarcazione, si chiamava MISTER MISTER, poi affondò e fu
ribattezzata STAR OF MALTA ed infine CAVALIERE DI MALTA, ma era comunemente conosciuta come 'A SIGNURINA, proprio per quel bianco candido che ne caratterizzava lo scavo.

lunedì 31 maggio 2010

PRIJERA DA MUGGHIERI DU' MARINARU


San Giusippuzzu, faciti bon tempu
c'haju 'u beddu miu supra lu mari.
Tri 'ntinni d'oru e tri vili d'argentu;
San Giusippuzzu l'aviti a scansari.
E arrivannu ddà in salvamentu,
'na littra ppi pietà m'hata a mannari,
ccu tri paroli scritti 'ntra lu menzu.
Comu ti l'ha passatu supra 'u mari?
PREGHIERA DELLA MOGLIE DEL MARINAIO - San Giuseppe, fate sia buon tempo/ che ho il mio bello per mare/ Tre antenne d'oro e tre vele d'argento/ San Giuseppe, dovete voi preservarlo/ E arrivando là a salvamento/ una lettera, per pietà, fate che mi giunga,/ con tre parole scritte nel mezzo/ E come te la sei passata sul mare?

5 TERMINI MARINARESCHI

abbinnatura - bendatura, l'atto di porre le bende alle vele per rinforzarle nei punti in cui sono aperti gli occhietti;
abburdari - abbordare; l'avvicinarsi al bordo, l'accostarsi di una imbarcazione con un'altra;
abbuzzari - abbozzare; legare la gomena alle bozze dopo gettata l'ancora;
acitulena - lanterna ad acetilene, adoperata per la pesca dei totani e dei calamari;
acqua tunnara - acqua tonnara; specchio d'acqua dove si sistema la tonnara.

pupi siciliani

I pupi sono quelle caratteristiche marionette armate, di quel teatro epico popolare che probabilmente venne dalla Spagna e operò a Napoli e Roma, ma soprattutto, dalla prima metà dell'Ottocento, in Sicilia, dove avrebbe raggiunto il suo massimo sviluppo.
La parola pupo, deriva dal latino pupus che significa bambinello. Ancora oggi a Roma i bambini sono detti pupi. In Sicilia la parola pupo appare verso la fine del Settecento in una richiesta rivolta al "Presidente del Regno", perchè conceda ad un puparo il permesso di piantare un piccolo casotto.
Nella letteratura siciliana, Giovanni Verga ridurrà, nelle sue novelle, il puparo don Candeloro a burattinaio. e a burattini i pupi. Con Marionette che passione! esordirà un altro autore siciliano, Rosso di San Secondo, nel 1918. Invece Pirandello ebbe il coraggio di chiamare pupi, nella famosa battuta di un suo personaggio del Berretto a sonagli, al quale fa dire "tutti pupi siamo" con ciò che ne consegue.
In Sicilia le due scuole: quella palermitana e catanese con delle differenze nella spada che resta fissa in mano e nell'altra scuola può essere sfoderata e sulle ginocchia: i pupi palermitani piegano le ginocchia quelli catanesi no.

ORLANDO MORENTE: O come sei silente, o valle. Pochi momenti fa c'era il rumore assordante della battaglia, ora regna il silenzio sinistro e pauroso della morte. Non si ode più il cozzare delle spade e delle lance sugli scudi e sulle corazze né il rimbombare delle mazze sugli elmi. Tutto è finito ormai, fedeli ed infedeli sono affiancati nell'ultimo anelito di vita. Ora comprendo come non ho mai compreso che solo nella morte si è fratelli!

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